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Bastone siciliano

LA SUBLIME ARTE DEL BASTONE SICILIANO

ANTICA SCOLA DA PARANZA RUTATA

di Fabio CAVALLARO

Esistono simboli che hanno contrassegnato la storia dell’uomo. Dal Mosè biblico allo Sciamano, il bastone ha rappresentato la figura del condottiero come l’emblema del potere sulla comunità. In questo viaggio narreremo la storia, gli aneddoti e il valore simbolico del “Bastone siciliano” sublime arma che incorpora la prodezza del popolo isolano.

L’Arte del bastone siciliano è una tecnica di difesa di origine agro-pastorale praticata con un bastone nodoso lungo cinque palmi (circa 130 cm), scelto fra varie piante selvatiche selezionate in un particolare periodo dell’anno e opportunamente indurite attraverso un  antico sistema di fuocatura. Il suo massimo sviluppo si colloca alle pendici dell’Etna, nella zona di Giarre-Riposto, dove ad oggi ne esistono tre stili (ruotata, fiorata e a battere).

La nomenclatura degli stili ha origine dall’area di maneggio dell’arma. Tracce evidenti di questa tradizione si trovano a Santa Domenica Vittoria, Lentini, Paternò, Siracusa.

Nell’immediato dopoguerra si assistette alla nascita del “codice dei bastonieri” i cui tratti salienti richiamano rigore morale, di comportamento e difesa dei deboli. La pericolosità latente e il suo sovrapporsi, nella gestione degli affari correnti, all’ordine legale costituito, costrinsero nei fatti l’Autorità a bandirne la pratica e l’insegnamento.

Iniziò un lungo periodo di clandestinità che finì con gli inizi degli anni ’70 quando la pratica del bastone virò verso un’attenzione sportiva. La tradizione continuò comunque ad essere insegnata all’interno di piccoli gruppi familiari fra elementi di elevato rigore morale.

Il recupero e il mantenimento di questa tradizione è, per noi giovani siciliani, un dovere morale, poiché oltre alla peculiarità storica, etnica e antropologica dell’Arte del bastone, essa consente di recuperare alcuni valori fondamentali come il rispetto, il sacrificio, la lealtà e l’osservanza delle regole del gruppo.

Sul piano coreografico, l’arte del bastone è una danza che impegna tutto il corpo: il bastone volteggia nell’aria descrivendo mulinelli e quando si abbatte su quello del compagno ecco che inizia la cosiddetta tirata, ossia il combattimento, dove coraggio, dominio di sé, potenza e controllo realizzano un unico armonico.

La Scola rutata ha nel Maestro Alfio Di Bella un riferimento culturale unico della tradizione. È stato lui, infatti, a codificarne i principi, e con amore li sta trasmettendo ai suoi allievi.

Prima di aprire le porte al cuore della sua filosofia didattica, è opportuno indicare l’incipit del percorso che ha portato all’oggi.

Era la primavera del 1996. Un uomo con un vestito scuro, camicia bianca, cravatta rossa con pochette abbinata e scarpe in vernice nera entrò nel dojo, dove insegno l’Arte dell’Aikido. Con fare garbato ma deciso mi chiese come avessi appreso la sua Arte. Sorpreso, gli chiesi se fosse anche lui un Maestro di Aikido. La sua risposta fu spontanea e sincera:

“Ai… ché?!”

Replicai: “Aikido, l’Arte del Maestro Morihei Ueshiba”.

Senza alcun indugio o imbarazzo rincarò: “Ma che Aikido e Aikido, quella che ho visto durante l’esibizione di qualche sera fa è l’Arte del bastone siciliano”.

La sua considerazione mi lasciava sgomento ma stimolava in me grande curiosità. Infatti, sin da bambino avevo sentito parlare di quest’Arte praticata nella zona ionico – etnea, in cui vivo, ma che era insegnata segretamente a piccoli gruppi, per lo più appartenenti allo stesso ceppo familiare. In verità, un noto Maestro di Judo della zona era riuscito, a cavallo degli anni ‘60/70 a praticare le tre scuole principali di quest’Arte ed aveva realizzato una sintesi oggi nota come sport di “bastone nazionale”.

Praticando arti marziali dal 1975, andai ad ammirare il risultato di questa scherma di bastone che rappresentava la mia terra. Quello che vidi non stimolò la mia curiosità e abbandonai ogni altra esplorazione.

Fino a quella sera.

Raccontai al Maestro la mia esperienza, egli sorrise e mi disse che quel Maestro di judo era stato suo allievo e che ciò che avevo visto non era propriamente l’Arte siciliana del bastone, bensì un’interpretazione finalizzata al combattimento sportivo; lo stesso nome scelto dal suo ideatore esprimeva come il bastone siciliano fosse stato la mera ispirazione di quel progetto. Dunque mi chiese di mostrargli i passi della mia disciplina.

Salii sul tatami e cominciai con la successione che maggiormente esprime l’Aikido: irimi-tenkan. M’interruppe e disse: “Quello che hai appena eseguito, è della mia scuola”.

In un attimo smise le scarpe, fece un breve inchino in segno di rispetto e iniziò a mostrare ciò a cui alludeva.

Rimasi sgomento per l’eleganza, lo stile e la stabilità delle sue posizioni. Sembrava un ballerino di Tango figurato.

Effettivamente ciò che ammiravo sembrava Aikido.

La serata continuò con un intenso scambio di esempi: ad ogni mio waza (tecnica), lui replicava con un esempio della sua scuola, assolutamente coerente con la mia.

Il confronto continuò fino all’alba, entrambi eravamo stati catturati dall’assoluto e avevamo smarrito la relatività del tempo.

Prima di congedarci, gli chiesi se potevo avere l’onore di diventare suo allievo. Dopo una pausa, rispose che da poco tempo aveva perso la moglie ed un figlio, anch’egli praticante esperto di arti marziali, e che non aveva più intenzione d’insegnare. A malincuore compresi il suo stato d’animo, lo ringraziai per ciò che mi aveva fatto vivere, e prima di congedarci gli dissi che se un giorno avesse avuto il piacere di trascorrere altro tempo parlando della sua arte o di qualunque cosa egli avesse voluto, in me avrebbe trovato una casa senza porta. Mi sorrise ancora una volta e, con l’eleganza che gli è propria, mi salutò.

Qualche settimana dopo fece di nuovo apparizione nel dojo. Ci volle poco per capire che il legame che si era istaurato tra noi non era di quelli che il tempo poteva scalfire. Amavo l’idea di ciò che quella persona avrebbe potuto insegnarmi, ma al contempo sapevo che il piacere della sua compagnia non era legato all’Arte del bastone. Egli è un uomo d’altri tempi e il suo garbo, la sua parola misurata, il suo camminare con discrezione (il motto della nostra scuola è: “Camina comu ‘na tartaruga … e sauta comu ‘na Bbuffa”, ossia affronta il tuo cammino con calma, padroneggiando il tuo tempo e al momento opportuno, senza alcuna esitazione dai una svolta importante al tuo presente), profuma di un’antichità che ha dato onore alla Sicilia e che noi giovani abbiamo smarrito. La sua parola vale più d’un contratto scritto e il suo cuore, intriso dei valori umani più alti, è metro d’ogni agire. Avrei potuto non conoscere l’Arte del bastone, ma ero certo che avrei conosciuto quella sicilianità che tanta letteratura ha indelebilmente cristallizzato nel tempo.

Per la generosità del Maestro Alfio Di Bella (alias Alfio Basittuni per le lunghe e folte basette che incorniciano un volto asciutto per le traversie del tempo) ho avuto l’opportunità di cibarmi di entrambe le conoscenze. Infatti, in quell’occasione mi disse che aveva deciso di insegnarmi la sua Arte. Cominciarono i nostri incontri la domenica mattina connotati da sudore, stanchezza, richiami e poesia. Sì: poesia.

Quell’uomo, privo di qualunque erudizione scolastica, parlava come Seneca e Platone. Il suo insegnare era pieno di metafore. Ero rapito! Non capivo come un uomo privo di una formazione accademica e che avesse vissuto la sua vita alle pendici dell’Etna, potesse parlare di concetti di filosofia orientale o greca la cui conoscenza era a lui certamente ignota. Ebbi la prova che la fonte del sapere non ha confini geografici né la si apprende esclusivamente dai testi. La sua Università era stata la vita: era stato in grado di succhiare il nettare della conoscenza dalla quotidianità. Sapeva scrutare l’intorno con l’attenzione di un’aquila, appropriandosi di ogni dettaglio che i sensi percepivano.

Spesso le lezioni si svolgevano in montagna, con la natura suggeritrice del gesto da compiere. Infatti, il Maestro m’insegnava a osservare ciò che mi circondava e a prendere spunto da esso. Fu così che un ramo divenne ispiratore di un attacco; il rivolo di un bicchiere d’acqua versato sul terreno i passi di un’azione; il fluttuare delle nuvole, una tecnica da applicare.  Sono certo che molti di voi riconoscono in questo procedere ciò che tanti libri e film hanno descritto sulla nascita delle Arti orientali. Questa non era una favola, stava accadendo davvero: il protagonista ero io, ed il regista il Maestro.  

Il tempo passava e il mio entusiasmo era ormai divenuto incontenibile. La voglia di condividere quello che stavo vivendo mi portò a chiedere al Maestro se poteva aprire la sua didattica ai miei allievi di Aikido. La sua risposta fu: “Se hanno il tuo rispetto, meritano questa possibilità”.

Iniziò così quello che oggi è divenuta l’Arte dell’Antica Scola da paranza rutata.

Lavoravamo con passione, e l’insegnamento a contatto con la natura e in sala continuava nei lunghi racconti di storia siciliana.

Aprì alla mia attenzione i principi cardine della sua scuola, le regole disciplinari da osservare e i saperi nascosti in ciò che egli definì le “piante”, vero Know how della conoscenza che differenzia il suo sapere dalle altre forme di tradizione.

Quell’esperienza rafforzò la consapevolezza che nell’Arte il rapporto tra Maestro e allievo è tutto. Senza una sana complicità non può esserci crescita e sviluppo di maestria. In questo vi era un’assoluta concordanza con un altro mio fondamentale Maestro, Hidechi Hosokawa, il secondo il quale “Compito del Maestro non è consentire a chiunque di arrivare all’estremo della conoscenza, poiché ciò forzerebbe la natura, ma scuotere di tanto in tanto l’albero e vedere i frutti destinati a giungere a raccolto”.

Compito del Maestro è, quindi, quello di vigilare affinché ciascuno acquisisca ciò che è in grado di trasportare e gestire.

Ricordo quando un allievo particolarmente volitivo avvicinò il Maestro Di Bella e gli chiese se poteva praticare l’esercizio assegnato a un allievo più anziano. Senza alcun turbamento rispose: “Cu cogghi u fruttu prima do so tempu cogghi amarizza” (Abbi la pazienza di attendere e vedrai che il momento propizio giungerà anche per te, così eviterai una cocente delusione). L’allievo si ritirò a svolgere il proprio compito senza mai più avanzare richieste. Oggi siamo stimolati da eccesso d’informazione e sperimentiamo come sia sempre maggiore la difficoltà della loro gestione. La tradizione insegna che occorre comprendere ciò che in realtà siamo in grado di gestire senza che ciò alteri il nostro equilibrio.

Dai suoi racconti e dalle sue indicazioni provai a vergare i Principi strutturali della Scola dell’Antica paranza rutata, fino ad oggi tramandati oralmente.

Proposi di organizzare i livelli di sapere della Scuola in un sistema che non aveva lo scopo di fissare una gerarchia, bensì un iter evolutivo. Così, oggi la scuola segue un percorso didattico pianificato:

Novizio: Aspirante allievo. Deve dimostrare alti valori umani. Il Maestro è molto severo nella selezione e non accoglie chiunque mostri un interesse non maturo.

Allievo: Novizio che ha superato il periodo di osservazione.

Aspirante istruttore: Allievo avanzato che affronta il suo personale cammino verso la stabilizzazione del proprio sapere.

Istruttore: Allievo che ha raggiunto un livello di maestria personale che occorre affinare nell’atto di condivisione con il prossimo.

Maestro di sala: Figura di riferimento per gli allievi. Esprime elevato rigore morale, eccellente maestria tecnica e capacità di trasmissione delle regole etiche.

Fondatore: Il Maestro Alfio Di Bella.

 

La Scuola si compone di diversi percorsi didattici aventi lo scopo di armonizzare i movimenti del corpo con l’arma e dare vigore atletico e serenità al binomio mente-corpo.

Sono trascorsi diciassette anni e la Scuola continua la sua attività sotto il vigile controllo del Maestro Caposcuola Alfio Di Bella e di suo figlio Maestro di sala e Direttore tecnico Sebastiano Di Bella.

Io sono stato nominato “Maestro di sala” dal suo fondatore e in questo momento sono l’unico. Nel 2012 il Maestro insieme ad altri illustri Maestri di scherma di bastone della tradizione italiana (tacchero napoletano, bastone pugliese, bastone genovese, bastone siciliano) ha dato origine, come socio fondatore, al Comitato Italiano Scherma con il Bastone e Discipline associate (CISB) che ha il compito di divulgare la tradizione di quest’Arte. Il 9 febbraio del 2013 il Maestro Alfio Di Bella, insieme al Maestro Raffaele Irminio (Bastone di Siracusa), al Maestro Mirco Ulandi (Bastone genovese) è stato eletto Presidente della Commissione esecutiva “Tradizione e cultura nella scherma di bastone”.

Oggi grazie ai suoi insegnamenti, che uniscono etica e natura, lealtà e saggezza popolare, sento ancor di più l’orgoglio e la fierezza del mio essere siciliano.